In tempi recenti mi è capitato, così come immagino sia successo a tutti, di trovarmi parecchio annoiato dalle letture di genere. Il che è un gran problema dato che, nella maggior parte dei casi, è l’unico tipo di letture nelle quali mi cimento. Come molti sono sempre stato appassionato a storie fantastiche, a mondi inesplorati che potessero crescere in me un senso di meraviglia altrimenti assente in romanzi non-fiction; mondi alieni, storie di magia e di creature mai viste.
Tuttavia col tempo, leggendo in particolar modo romanzi recenti, questo senso di esplorazione in me si è trovato più volte trascurato. Vuoi per l’ossessione per rivangare e rimescolare elementi classici di romanzi tanto citati da divenire oramai religione, vuoi per mancanza della tanto agognata fantasia che dà nome al genere. Nel fantasy moderno, diciamolo, troviamo davvero poca novità oggigiorno: elfi, draghi, imperi maligni e una sovrabbondanza di romance abbozzata propria di autori e autrici con più propensione ad altri generi; e che dire della fantascienza, che in tempi recenti è stata abbandonata in favore di trame che, a detta di alcuni, risultano più digeribili (quando sarebbe più corretto dire che non è il genere a fare il target, ma l’abilità dell’autore o dell’autrice)?
Fermo restando che sono ancora presenti sul mio scaffale numerosi classici sprizzanti di fantasia in attesa di essere completati, la ricerca di storie nuove e particolari è divenuto uno dei miei passatempi preferiti. E seppure, come qualcuno dice, di storie davvero originali non ne esistono che una manciata, ritengo sia nell’esecuzione e nei particolari che possiamo ritrovare quel senso di ebrezza che ci ha colti dalla prima pagina del nostro primo romanzo fantasy o fantascientifico.
Questa premessa è necessaria per far bene intendere il motivo per cui, durante la mia visita alla Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria – Più Libri Più Liberi di Roma, ho deciso di sgattaiolare tra le varie case editrici in cerca di qualche tesoro nascosto. Ed è proprio qui che, presso lo stand della casa editrice Moscabianca, ho incrociato qualcosa che ha catturato la mia attenzione fin dalla descrizione (cosa non facile): un piccolo libricino di circa cento pagine dallo strano titolo La Prossima Volta Rapiscimi D’Estate, di Leo Munzlinger.
La trama
Terzo libro nel Ciclo dell’Uovo, una serie di romanzi ambientati nello stesso mondo, racconta la storia di Eru, un uomo che dopo aver risposto ad un annuncio di lavoro si ritrova collegato tramite un cavo ad un cervello senziente di nome Cloro, ed è costretto a trasportarlo a piedi in cima ad un essere volante di dimensioni immense (la Silvimedusa) sul quale giacciono antiche rovine. Il viaggio è colmo di pericoli sempre maggiori, ma Eru non ha scelta, in quanto se dovesse rifiutarsi o esitare Cloro sarebbe pronto ad amministrare delle potenti e dolorosissime scariche elettriche. Il suo obiettivo è un segreto conosciuto solo a Cloro, un segreto che promette di rivelare solo una volta in cima alla Silvimedusa.
Un’ambientazione particolare
Tra tutti gli elementi del libro quello che cattura fin da subito è l’ambientazione, il mondo chiamato Uovo in cui si svolge la storia. Il panorama dell’Uovo è estremamente fantasioso, unico, pieno di stranezze e curiosità. In alcuni momenti sembra davvero di trovarsi in qualche versione più maligna del Paese delle Meraviglie, tanti sono gli elementi fantastici e bizzarri. Il libro non perde tempo a spiegarli, ma si limita a riassumere i principali elementi in alcune pagine supplementari alla fine del racconto con il solo scopo di dare chiarezza al lettore. Tuttavia altri dettagli sono lasciati all’immaginazione, come molte delle creature che appartengono all’Uovo. In questo aspetto si può dire che l’autore ha centrato il bersaglio ed è più che riuscito nel suo obiettivo di farci appassionare alle sue idee fantastiche.
Qualcosa in più sui personaggi
Forse l’aspetto più debole sono invece i personaggi, che in effetti sono ben pochi (cosa naturale, data la brevità del racconto). A parte i due protagonisti, l’unico altro personaggio appare a circa metà della storia. Non sappiamo molto di loro, e ironicamente è proprio il protagonista che ci racconta la vicenda in prima persona quello che conosciamo di meno; ciò che sappiamo lo impariamo esclusivamente dai pensieri di Eru e dal suo rapporto conflittuale con Cloro. Anche con questi dialoghi, però, non otteniamo molto su di loro. Oltre a ciò che vogliono, l’unica cosa che impariamo è che non c’è amore tra di loro, e questo loro rapporto non cambia particolarmente neppure quando si aprono l’uno con l’altro verso il termine del romanzo.
Tuttavia mentirei se dicessi che non presentano cambiamenti: mano a mano che Eru scopre più aspetti di Cloro e di ciò che vuole, possiamo vedere come il suo odio diventi comprensione, fino a fare scelte che risulterebbero impensabili all’inizio del libro. Ciononostante, non posso dire che siano a mio parere pienamente giustificate: è chiaro cosa scateni questa empatia in Eru, ma non il motivo, la ragione per cui questa scoperta sia così importante da cambiare la sua prospettiva su un essere che fino a quel momento aveva odiato. Forse è sintomo della brevità del romanzo, o forse analizzare i personaggi non è mai stato l’obiettivo dell’autore, ma non citare questo aspetto non renderebbe completa questa analisi.
Il viaggio, non la destinazione
La trama in sé è estremamente semplice, al punto che parlarne nei dettagli sarebbe un disservizio al lavoro compiuto nel caratterizzare l’ambientazione. Sebbene si presti a potenziali risvolti inaspettati, il racconto è molto semplice, dall’esito quasi scontato. Non ci sono grandi rivelazioni, nè sconvolgimenti imprevedibili. Questa, tuttavia, non deve essere percepita come una critica; risulta in effetti ovvio come non sia questo l’obiettivo dell’autore. Non è la destinazione, si dice spesso, ma il viaggio a contare, e ritengo sia specialmente vero in casi come questo.
Ogni evento ha un suo chiaro perché, una serie di eventi in rapporto causa-effetto, una concatenazione che una volta arrivati al termine ha un senso chiaro. D’altro canto è vero che il finale potrebbe risultare anticlimatico. La storia manca di un finale esplosivo o emozionante, e sebbene abbia un epilogo di una certa forza emotiva lascia anche alcuni intrecci insoluti, troncati forse troppo in fretta. Non è un male, certo, non tutte le storie hanno bisogno di un grande monologo o di una considerazione più ampia su basi filosofiche, sociali o politiche. A volte basta poco, basta raggiungere quel traguardo che avevamo avvistato da lontano, per poi guardarsi indietro e sospirare.
Conclusioni
Per concludere, La Prossima Volta Rapiscimi D’Estate è un romanzo breve, leggero, e affascinante sotto molti punti di vista, ottimo per chi è interessato a esplorare mondi unici e bizzarri senza soffermarsi troppo su concetti fantascientifici o visioni astratte della realtà, con una trama semplice ma efficace e personaggi godibili se non profondi. Le poche pecche (uso a volte gratuito di profanità, poco interesse alla caratterizzazione del protagonista, un finale troncato) sono a mio parere controbilanciate da un abile lavoro di worldbuilding, descrizioni colorate, e storytelling.
0 commenti