Come e perché Eulalia smise di invecchiare

da | Mar 27, 2025 | Consigli di scrittura

Racconto di Alice Cervia

Eulalia aveva settantanove anni all’inizio di questa storia. L’ultima volta che l’ho vista veleggiava felice verso i quaranta e ora sarà probabilmente alle prese con i drammi dell’adolescenza.

Quando ho conosciuto Eulalia, mi trovavo in vendita in un negozio di varia paccottiglia spacciata per antichità. Coperta di polvere, ossidata e messa all’angolo, nessuno poteva sapere che ero io il vero affare, la perla rara.

Lei invece è entrata, claudicante e fatale, afferrandomi senza esitazione. Il primo tocco con il palmo tiepido di una mano, dopo anni di indifferenza, mi ha fatto rabbrividire.

Il licantropo che gestisce il negozio ha alzato un sopracciglio. Anche lui mi considerava spazzatura.

«Questa qui», ha detto Eulalia, poi mi ha pagata.

Mi ha portato in una casa da vecchia, che puzzava di acqua di rose e cene precotte: stavo sulla mensola del camino, tra la foto del marito morto e un flacone di antizanzare vuoto.

Ogni mattina mi sollevava, mi scrutava con occhi presbiti e poi mi sfregava senza pietà. Vedevo la sua cataratta luccicare per l’emozione, ogni volta, delusa.

«Genio della lampada,» invocava  ogni mattina,  «fammi il favore».

Ma io il favore a quella brutta vecchia non lo volevo fare. Dove sta scritto che, se il destino ti rende speciale, sei per forza al servizio della prima carampana che passa di lì e riconosce la tua unicità?

E così, niente da fare, il genio restava nella lampada, nessun desiderio esaudito per Eulalia. Nonostante mi avesse spolverata, oliata, lucidata, profumata. Ogni volta sfregava a vuoto.

Speravo si stufasse e mi riportasse nel confortevole oblio del negozio, dove avrei potuto ricominciare a dormire, circondata da ciarpame senza valore.

Invece lei, ogni mattina, tornava alla carica.

«Genio della lampada,» invocava  ogni mattina,  «fammi il favore».

A un certo punto l’ho notato e sicuramente l’ha notato anche lei: i suoi baffoni grigi erano tornati neri e lucenti, i denti virati da marroni a gialli e i cespugliosi capelli bianchi erano ora grigio topo.

Era una di quelle persone più brutte da giovani che da vecchie, ma non sembrava preoccuparsene.

«Genio della lampada, fammi il favore», ripeteva e strofinava due, tre volte al giorno. Il genio dorme da anni, o è morto: non sento più il suo corpaccione sgradevole premere e spingere, il suo fiato ansimare e la sua voce ruggire. Forse il suo cadavere è rimasto a imputridire al mio interno, ma Eulalia non lo poteva sapere. Io però morta non ero e non lo sono neanche adesso, posto che una lampada possa dirsi viva.

Tutti a riempirsi la bocca con il genio della lampada, questo scroccone che ha vissuto abusivamente dentro di me per migliaia di anni. Nessuno che spenda due parole per la lampada. Nessuno, compresa Eulalia, che pensava fosse il genio a farla ringiovanire. Invece ero io, a malincuore e controvoglia, giorno dopo giorno.

Ed Eulalia ringiovaniva, lentamente, ma inesorabilmente. Finché un mattino, avrà avuto una quarantina d’anni, si è accorta di non aver più bisogno di me.

«Genio della lampada, viaggio verso la morte alla rovescia», mi ha detto, rossetto prugna su baffo nero, e mi ha riportato al negozio.

Spesso mi manca

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