Contro il Tropo: Dungeons & Dragons

da | Gen 31, 2024 | Ispirazioni, Approfondimenti

La nostra letteratura è intrisa di tropi: schemi narrativi che si ripetono con regolarità e forniscono una base sulla quale raccontare una storia. Esempi notevoli nel genere fantasy sono il viaggio dell’eroe, ilå protagonista orfanå o la magia. Questa rubrica si pone l’obiettivo di dissezionare i tropi più usati, scombinarli nelle loro componenti e rimetterli insieme al contrario, nella speranza di scardinare gli stereotipi e di ispirare nuove storie.


È inutile nasconderlo: chiunque di noi sia alle prese con la scrittura di un romanzo fantasy ha un passato da Dungeon Master, i cui mondi zampillano da una parte all’altra del cervello senza mai trovare il tempo o i giocatori necessari per esplorarli a dovere. Sia per frustrazione che per fomento, tentiamo di portare quelle stesse storie sulla pagina per coinvolgere i lettori nei mondi in cui avremmo voluto giocare. È la storia di un’intera generazione di scrittori, e nonostante io stesso sia in quella categoria, oggi voglio metterne in luce i limiti.

Contro il Medioevo

I manuali base di D&D, che sono quelli su cui tutti iniziano a giocare, forniscono un’ambientazione fantasy solida e costruita nel corso di decenni: un medioevo intriso di misteri e magia, di regni e avventure, mostri ed eroi. La varietà di storie che si possono costruire al suo interno è quasi illimitata… a primo impatto. Riflettendo più a fondo, ci si accorge che è un medioevo generico, vagamente europeo e senza troppi dettagli; questo è intenzionale da parte dei creatori del gioco di ruolo, un tacito invito ai giocatori a inventare loro stessi i dettagli della propria avventura usando i manuali come suggerimento e punto di partenza. Quello che invece succede è che la maggior parte delle storie non si discostano da questo generico feudalesimo; non riescono a immaginare ambientazioni significativamente distinte da quelle offerte, né livelli culturali o tecnologici differenti. Persino i sistemi economici e politici sono quasi sempre inchiodati allo standard del regno feudale con sudditi, guardie e mercenari.

Immaginate invece un medioevo ispirato alla Polinesia, o nella giungla centroafricana; oppure un periodo storico del tutto diverso, come il Seicento, il Neolitico o la Rivoluzione Industriale. O ancora: un mondo in cui il feudalesimo non è ancora nato, oppure si è eclissato per lasciare spazio a qualcosa di diverso.

Uscite dalla finestra temporale limitata da cui Gigax partì; andate oltre.

Contro le Razze

Non serve una lezione di antropologia per intuire che il concetto di razza è quantomeno problematico. In aggiunta a questo, nel tentativo di semplificare la complessità della creazione di un personaggio, gli stereotipi razziali in D&D sono estremamente limitanti: gli umani e i nani sono sempre operosi e creativi, gli elfi nobili e leggiadri, gli orchi rudi e violenti. Goblin e coboldi sono genericamente pesti da sterminare a piacimento. Non solo non è contemplata la possibilità di uscire da questi binari (perché non è possibile avere un personaggio mezzo elfo e mezzo nano?), ma gli stereotipi di questo tipo scoraggiano alternative perché “sbagliate”.

Immaginate invece una popolazione con le orecchie larghe e una pelle estremamente secca: sarebbe una razza a sé? Sarebbero mezzi elefanti? Tentare di inquadrare questo tipo di idee in categorie predefinite non solo fallirà sempre, ma limiterà la vostra immaginazione.


Contro le Classi

Ricordo ancora chiaramente la prima volta in cui giocai a tredici anni (molto prima di scrivere la mia prima storia): scelsi un elfo barbaro e immediatamente il Master mi disse che “non si poteva”.

Perché?

Avevo preparato una backstory tutto sommato convincente: il mio clan era stato allontanato dalla città elfica e aveva dovuto imparare a sopravvivere come poteva, anche in modo primitivo. Una backstory semplice, ma efficace. Eppure la combinazione era sbagliata: le classi erano quelle e un elfo non poteva assolutamente essere un barbaro.

Non solo, ma il formato delle classi (come sopra per le razze) limita fortemente l’immaginazione; per tornare allo stesso esempio, un paladino sarà genericamente valoroso e moralmente allineato, un monaco silenzioso e disciplinato, il ladro scaltro e sagace, il mago saccente e prudente. Se invece ho un personaggio che si prende cura dei dromedari ed effettua razzie in sella a essi (perfettamente plausibile in un’ambientazione desertica), non sarà possibile inquadrarlo in termini di classi standard.

Fate un esercizio mentale nei prossimi libri fantasy che leggete: di quanti personaggi riuscite a individuare univocamente la “classe”? In base a questo potrete intuire quanto dell’immaginario dell’autore/autrice discende dagli standard base di D&D e quanto sia invece originale.


Ci sono molti altri aspetti in cui l’immaginario di D&D incatena le nostre capacità immaginifiche (pantheon di divinità anziché culti e riti animistici o pagani, viaggi planari anziché cosmologie variegate, varietà e tipi di magie con annessi power level), ma questi tre sono i principali tropi che dobbiamo scardinare per diventare veri creatori di mondi e personaggi.

Siamo nati da una parte di noi che è sempre stata più Dungeon Master che giocatore, più cantastorie che partecipante. Ora è il momento di ucciderla.

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Clockwork

Fisico teorico fallito che cerca di insegnare e scrivere fantascienza e fantasy, saltando nel tempo tra neolitico e solarpunk italiano. Mastodoniano imperterrito. I miei scarabocchi sono passati per Novilunio, Cohibeo, Neutopia, Solarpunk Italia e Symphonies of Imagination.

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