Il Dilemma dell’Inizio: Premessa contro Realizzazione

da | Ott 2, 2024 | Approfondimenti

Siete in libreria, magari per far passare il tempo mentre aspettate amici; girovagate fra gli scaffali alla ricerca di qualcosa di interessante. Finalmente qualcosa vi cattura: una copertina carina, un bel titolo, una premessa niente male. Decidete di sfogliare le prime pagine.

È qui che, secondo l’editoria moderna, avviene la magia: il lettore sarà catturato da un buon inizio e convinto ad acquistare il libro che ha in mano. Pertanto avere un buon inizio è di importanza fondamentale: senza di esso nessuno proseguirà nella lettura, e tantomeno all’acquisto.

…o forse non è così?

Bias selettivi

Provate, se già non vi è capitato di farlo, a consultare i siti delle varie case editrici (sia piccole che grandi) o delle agenzie letterarie. Troverete, nella sezione dell’invio dei manoscritti, la richiesta di inviare i primi capitoli del vostro lavoro; anche gli editori hanno poco tempo e troppo lavoro per le mani, motivo per cui scelgono di valutare le proposte in base ai primi capitoli. Se questi sono scritti bene, se sono accattivanti e interessanti, allora potranno procedere alla lettura dell’opera intera. Alcuni editori esasperano questa pratica e si affidano al concetto di pitch: una o due righe che racchiudano la premessa, il nucleo della storia.

Questo crea inevitabilmente uno squilibrio: i manoscritti con un inizio lento e meno pirotecnico saranno più probabilmente scartati rispetto a quelli che catturano il lettore sin da subito. Tomi come Il Signore degli Anelli o Dune verrebbero immediatamente messi da parte da un editore moderno (e, invero, lo furono pure da editori del tempo).

Questo fenomeno non si verifica solo nell’editoria italiana: anche i manga/manhwa risentono dello stesso bias, in cui la premessa e le prime avventure dei protagonisti (oneshot) sono quelle che ne determinano l’eventuale serializzazione, così come le serie TV americane che puntano tutto sul pilot per poi naufragare nelle stagioni successive (un minuto di silenzio per Il Trono di Spade) o essere addirittura cancellati. Accade più di frequente nei settori di facile commercializzazione che nella letteratura e nella narrativa, ma nessun settore ne è totalmente immune.

E poi?

Il lettore, da quel momento in poi, è lasciato a se stesso, senza alcuna garanzia. Il libro è stato venduto; l’impegno dell’editore termina in quel momento, poiché lo scopo è stato raggiunto. E dunque abbondano le delusioni, le frustrazioni, gli abbandoni: la storia deraglia e noi con essa, perdendo ogni speranza di raggiungere una meta finale soddisfacente.

Col senno di poi, non è sorprendente: se le storie vengono selezionate in base a come iniziano, è naturale che non ci sia garanzia di qualità sui finali.

Questo generale calo di qualità percepita è anche in parte dovuta alla quantità mostruosa di libri che vengono stampati (sempre di più ogni anno, nonostante il numero di lettori sia costante o in calo; ma questo sarà argomento di altri articoli); più storie vengono pubblicate, più è raro trovarne di “veramente belle” nel mucchio.

Separare premessa e realizzazione: sfida impossibile?

Credo che per invertire la tendenza descritta sopra sia fondamentale iniziare a separare due tipi diversi di ideazione: quello della premessa e quello della realizzazione.

La premessa è il punto di partenza: l’ambientazione, una situazione particolare, un equilibrio che viene spezzato, un personaggio con desideri o bisogni unici. Queste sono le fondamenta di una storia, ciò su cui si regge poi la narrazione intera, ma da sole non sono sufficienti.

È poi anche necessario che questa narrazione si realizzi: la situazione particolare deve avere conseguenze, un nuovo equilibrio deve essere raggiunto, il suddetto personaggio si adopera per raggiungere i suoi desideri o soddisfare i suoi bisogni. E quando anche questo accade, non è comunque scontato che lo faccia in modo soddisfacente; narrare l’evoluzione di una storia che sia qualcosa di più che un susseguirsi di eventi e che abbia un finale che rimanga impresso sembra sempre più difficile.

Allo stato attuale, l’editoria pone un focus terribilmente asimmetrico su questi due aspetti, preferendo il primo di gran lunga più del secondo. Eppure le storie che rimangono impresse nella mente dei lettori non sono necessariamente quelle che ci catturano con le prime pagine (tra le nostre recensioni: Fathomfolk, Madonna Nera, Il Depositario dell’Eco); molto spesso è più memorabile una storia con una premessa relativamente blanda che però si evolve in qualcosa di molto più grande lungo la narrazione (Saltblood, Musashi).

Non sostengo che la realizzazione sia in realtà più importante della premessa, ma piuttosto che l’eccessivo peso che viene dato a quest’ultima dalle case editrici ha come risultato quello di non fornirci storie memorabili ma solo delusioni. Idealmente, una storia completa e appagante dovrebbe avere una premessa avvincente, sì, ma anche una realizzazione che le tenga testa.


Dunque, che siate voi lettori o aspiranti scrittori, vi invitiamo a separare la premessa dalla realizzazione, sia in ciò che leggete che in ciò che scrivete; vi incoraggiamo a chiedervi se l’autore/autrice ha pensato solo alla prima durante la stesura, o anche la seconda ha ricevuto la stessa cura e dedizione.

Avete letto libri o visto serie TV la cui realizzazione soddisfa le aspettative costruite nella premessa? O, al contrario, avete storie esilaranti su come buone premesse siano state completamente disattese? Raccontatecele nei commenti!

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Clockwork

Fisico teorico fallito che cerca di insegnare e scrivere fantascienza e fantasy, saltando nel tempo tra neolitico e solarpunk italiano. Mastodoniano imperterrito. I miei scarabocchi sono passati per Novilunio, Cohibeo, Neutopia, Solarpunk Italia e Symphonies of Imagination.

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