Attenzione: questo articolo contiene spoiler
Content warning: violenza sessuale, abuso sui minori, gore, violenza
Un romanzo fantasy di esordio
L’occhio del gufo è il romanzo fantasy di esordio di Andrea Butini, una nuova voce italiana che entra a far parte della collana Oscar Fantastica. Il libro sta riscuotendo un discreto successo, anche grazie alla martellante campagna pubblicitaria sui social network. A me ha incuriosito proprio perché è raro vedere un fantasy italiano pubblicato da una big come Mondadori, soprattutto se scritto da un emergente.
Il romanzo ci viene presentato come appartenente al genere dark fantasy – un sottogenere del fantasy caratterizzato dalla presenza di uno scenario oscuro, con elementi tipici dell’horror – e adult fantasy. Insomma, quello che ci aspetta con la lettura del romanzo è tutt’altro che un viaggio piacevole, come afferma anche l’autore Andrea Butini sul suo profilo Instragam:
Devo essere sincero: non vi aspetta un viaggio piacevole. Pioverà. Farà buio. Sarà freddo. E questo è solo l’inizio.
Ma entriamo nel vivo della storia. Di che parla L’occhio del gufo?
Diverse storie che si intrecciano
Sono tante le storie che si intrecciano in questo romanzo e le seguiamo da diversi POV. A fare da sfondo, il piccolo e insignificante villaggio di Rokthan, dove la selvaggina inizia a sparire misteriosamente.
È Sorin, un cacciatore, insieme all’amico Marc, a cercare di capirne il motivo, nonostante la preoccupazione per il figlio Jas, che da qualche giorno è vittima di misteriose crisi di violenza, durante le quali attacca le persone che gli stanno intorno, salvo poi riprendersi e non ricordare nulla dell’accaduto.
Nel frattempo il villaggio è scosso dall’inquietante omicidio di Luisette, la figlia dell’oste, e tocca a Neth Roven indagare e scovare il colpevole. Che l’assassino sia Luin, il fratello di Luisette, o che si tratti del misterioso nuovo arrivato, il Maestro?
I personaggi sono tanti, ma i POV sono decisamente troppi, e non c’è un vero e proprio tema centrale in questo libro. La vendetta, il lutto, il riscatto, il rapporto tra fratelli, l’amicizia maschile, l’amore, la giustizia, la morte… tanti temi, tutti molto importanti e interessanti, che non vengono mai approfonditi davvero. Inoltre i personaggi risultano piatti, poco sviluppati, e molti di loro sono davvero superflui. Se l’autore avesse tagliato la metà dei personaggi, la storia avrebbe funzionato lo stesso. Ma confido che i personaggi e anche i temi saranno approfonditi nel seguito.
Uno stile troppo dettagliato che risulta pesante
Lo stile è figlio della retorica per cui lo show don’t tell è obbligatorio sempre, che ci viene propinata da certi maestri della scrittura. Una retorica che può risultare dannosa per gli scrittori inesperti o comunque emergenti, come ci è chiaro leggendo L’occhio del gufo, dove regna uno stile incredibilmente dettagliato, che alla lunga risulta molto pesante. Ogni azione, ogni passo, ogni respiro viene descritto con dovizia di particolari, anche quando non necessario.
Faccio un esempio direttamente dal testo. Niente spoiler qui, promesso.
Marc annuì e strapazzò le guance dei piccoli Wade e Adren. Fece per dirigersi alla porta, ma si bloccò e squadrò Sorin con una smorfia. «E ovviamente l’intelligentone del mio amico voleva girare al buio senza nemmeno un lumino. Sciagurato.» Si diresse all’armadio a muro accanto al camino, lo aprì e tirò fuori un lanternino a olio e un lungo stoppino di cotone. Alzò il vetro protettivo del lanternino e immerse lo stoppino nel foro del serbatoio, così da farlo inzuppare d’olio. Prese un fuscello dalla cassapanca del legname dall’altro lato del camino, lo infilò tra le fiamme e lo usò per accendere lo stoppino.
Lo stile di scrittura è molto acerbo, ripetitivo, a tratti meccanico. Quello che troviamo per 400 pagine sono elenchi di azioni e gesti. E si nota bene dall’estratto che ho scelto di inserire. I personaggi risultano quindi spasmodici, quasi nevrotici, mentre si grattano, si stringono nelle spalle, snudano i denti, annuiscono, sbattono le palpebre, hanno tremiti, storcono la bocca, si stiracchiano, rilassano le labbra, si strofinano… Un infinito elenco di gesti che si ripete lungo il testo.
Lo vediamo anche nelle scene di azione. Riporto un altro esempio dal testo, questa volta tratto dalla battaglia finale.
Estrasse, incoccò, mirò in un altro punto e scoccò.
Estrasse, incoccò, mirò, scoccò.
Si spostò appena, estrasse, incoccò, mirò, scoccò.
E continuò.
Continuò.
Finché non svuotò la faretra.
La lezione è che a volte bisogna sapere quando rinunciare allo show e usare il caro vecchio tell.
Il dark ci viene ficcato giù per la gola, volenti o nolenti
Content warning: violenza sessuale, abuso sui minori, gore, violenza, e chi più ne ha più ne metta
La prima cosa che si nota è che l’autore si è sforzato in modo eccessivo di rendere l’ambientazione il più sporca, sudicia, schifosa possibile. E si nota già dalla prima pagina, dove vengono menzionati tutti i fluidi corporei esistenti, fra muco, rutti, zaffate puzzolenti, vomito… ecc. L’autore, fin dalle prime righe, ci trasporta in un mondo buio, lurido, in cui piove sempre, fatto di fango. E purtroppo questa spasmodica attenzione per il lerciume mi è sembrata eccessiva, perché non aggiunge niente di davvero interessante alla storia, men che meno realismo.
C’è da aprire anche una parentesi sulla questione della violenza sessuale, e qui si potrebbe fare un discorso più ampio che riguarda tantissimi autori di dark fantasy/grim dark che pensano che inserire violenza gratuita in nome dell’accuratezza storica e del realismo renda un libro più dark.
Io vi avverto, in questo libro avviene una violenza sessuale su una bambina e, come nel 99% dei casi, non ha un senso ai fini della trama o dello sviluppo del personaggio. È semplicemente una violenza gratuita. Quindi se siete particolarmente sensibili a questi temi, vi sconsiglio la lettura di questo libro.
Comunque, a spiegarci il trattamento riservato alle donne nel mondo de L’occhio del Gufo ci pensano anche i trafiletti fra un capitolo e l’altro.
È un ordine del Sovrano, che tutte le donne negli allevamenti vengano fecondate dopo il primo sangue. E che continuino a generare figli, uno dopo l’altro, fintantoché il grembo non sarà avvizzito.
I ragazzi nuovi raccontano che negli allevamenti non ci sono quasi più uomini. Così, ad alcuni di loro, i più fertili, è stato imposto di giacere con diverse donne. A qualcuno è toccata persino la madre
Questi contenuti hanno effettivamente un senso ai fini della storia? No, l’impressione è che siano stati inseriti per puro shock value, per far pensare al lettore: “Cavolo, che mondo terribile in cui vivere!”
L’autore inoltre ci delizia con una dettagliata scena in cui un artefatto viene estratto dalla vagina di un cadavere. Non vorrei soffermarmi troppo su questo punto, ma io l’ho letto e ora dovete sorbirvelo anche voi.
I personaggi femminili, un altro tasto dolente
Quella che per me appare come problematica importante è la mancanza di personaggi femminili che non siano stereotipati, piatti o proprio irrispettosi. Il primo personaggio femminile che incontriamo infatti è Luisette, figlia dell’oste, che ci viene descritta come un’insopportabile nullafacente, grassona, con il culone, che si abbuffa come un maiale.
Luisette si stava leccando le dita sporche di sugo. Incrociò il suo sguardo e mise su un sorriso beffardo, le guance gonfie e rosse come quelle di un maiale al trogolo. Luin serrò i denti fino a farli scricchiolare. Spero che ti ci strozzi con tutto quel grasso.
Ricorda un po’ le descrizioni di J.K. Rowling. Molti dei suoi personaggi negativi sono descritti come grassi e paragonati a maiali. In ogni caso, Luisette viene assassinata alla fine del primo capitolo, dando il via a una catena di eventi, e questo è il suo unico scopo — se non contiamo la parte in cui la sua vagina fa da scrigno dei tesori per un artefatto magico. Ma quali sono gli altri personaggi femminili?
Abbiamo Shai, che è un personaggio importante, essendo la comandante dei pacificatori, ma non ha destato in modo particolare il mio interesse, anzi l’ho trovata piuttosto piatta e stereotipata, se non proprio insopportabile in alcune scene. Viene descritta come bellissima, dai capelli rosso scarlatto e gli occhi azzurri, fredda e determinata a portare a termine una missione che le viene assegnata da… da chi?
Non poteva mostrare alcun segno di tristezza. Perché lei era Shai della Casata di Thu’Rei, ed era fredda come tempesta e dura come pietra.
Possiamo dire di essere stanchi di questi personaggi femminili “forti”, che di forte non hanno nulla, se non le abilità fisiche? Shai è un altro personaggio di cui non abbiamo bisogno.
Gli altri personaggi femminili, come Celine, sono vittime degli eventi, rapite, imprigionate, ecc. Forse l’unica a salvarsi è la guaritrice al servizio di Shai, che si rende conto del male che sta per provocare e decide di abbandonare la sua padrona. Ma parliamo sempre di personaggi secondari.
Inoltre, come non menzionare l’entourage di schiave di Shai? Questo dettaglio mi ha lasciata molto perplessa. Forse l’intenzione dell’autore era di scrivere un personaggio rappresentativo di certe minoranze, ma l’impressione è che abbia fallito miseramente e che Shai e le sue schiave siano solo l’esternazione di una qualche fantasia sessuale.
Un’occasione sprecata per il fantasy italiano
Che dire, L’occhio del gufo è stata una vera e propria delusione. A partire dallo stile di scrittura affettato, iper-dettagliato, passando dal dark a tutti i costi, e arrivando ai personaggi piatti, questo libro non mi ha proprio convinta. Sono assolutamente favorevole al supportare il fantasy italiano, soprattutto se si tratta di emergenti, ma penso che questa volta Mondadori abbia preso un abbaglio.
Voi l’avete letto?
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