Madonna Nera: un horror che non morde

da | Ago 14, 2024 | Recensioni, Dramma, Horror

Nella mia ricerca di fiction italiana pubblicata nel 2024, mi sono imbattuto nella fantastica copertina di Madonna Nera, edito da Acheron Books e scritto da Germano Hell Greco. Non essendo un lettore del genere horror non avevo alcuna aspettativa, ma nonostante questo il romanzo è comunque riuscito a frustrarmi come pochi libri fino a oggi.

Una Puglia indifferente e crudele

Iniziamo da ciò che mi è piaciuto, e che l’autore ha delineato con grande cura e passione: l’ambientazione. Alepia, un paese fittizio lungo la costa pugliese, incarna una desolazione e un’indifferenza che faranno da colonne portanti per tutta l’atmosfera del libro. Come i dipinti del padre di Pietro, gli ulivi, i muretti scrostati, le “specchie” e le strade di polvere fanno da cornice agli eventi del romanzo in modo impeccabile, esaltando un legame profondo con la terra e i luoghi che fanno da palcoscenico alla storia. I riferimenti all’asfissiante caldo marzolino fanno anche trasparire una consapevolezza autoriale nei confronti della crisi climatica, che non è centrale ma che apprezzo sempre quando si intravede sullo sfondo.

Anche il culto di Santa Feba è caratterizzato con grande dovizia di particolari: la santa senza denti, la quale è onorata dai locali con il lancio di mandorle e l’apposizione dei denti dei defunti di fianco alle loro tombe o santini. Le processioni in suo onore e le leggende che circondano gli eventi del paese sono incredibilmente realistici, rappresentazione accurata di molte credenze del Sud Italia che intrecciano cristianesimo e misticismo.

Un’unica nota dolente è la rappresentazione molto povera dei personaggi di colore: i pochi che appaiono sono o malavitosi nigeriani, della cui morte importa poco a tutti i personaggi, o la badante Makeba, che parla con un accento marcatamente straniero, ai limiti della caricatura.

Purtroppo, nonostante l’abbondanza di denti e altri elementi pittoreschi, il resto del libro manca di mordente.

Lo stile: frenetico e senza sosta

Nonostante lo stile di scrittura sia contemporaneamente veloce e pieno di dettagli, talvolta l’esagerazione in uno dei due sensi (se non entrambi) affatica la lettura. Nella prima parte, quando il ritmo è disteso e calmo, alcune azioni sono descritte con eccessiva acribia; un esempio che mi è rimasto impresso è:

Ruotò il polso: dal suo Casio risultavano le sei e trentacinque.

…per dire che un personaggio guarda l’ora. Inoltre, le menzioni di marche di prodotti sono onnipresenti: orologi, sigarette, auto, scarpe, vestiti; non abbastanza da rovinare la lettura ma quanto basta da far pensare a spot pubblicitari inseriti ad hoc.

Questi sono dettagli minimi e non minano il godimento del romanzo; ciò che invece lo fa in modo irreparabile è la costante menzione di fluidi corporei (una rapida ricerca sul file dà “vomito” 9 volte, 11 “piscio” e ben 52 “merda”; praticamente una deiezione ogni tre pagine), che al posto di evocare una sensazione di disgusto ne evoca una di ridicolo.

Il ritmo narrativo poi impenna all’improvviso dopo il Capitolo 24: gli eventi si susseguono a un ritmo forsennato, intermezzati da sogni (che si scoprono essere sogni solo al termine) i quali anziché alienare o inquietare semplicemente disorientano. Mi è riuscito molto difficile seguire la narrazione da questo punto in poi, e mancando il contatto con il susseguirsi degli eventi anche il coinvolgimento e l’empatia verso i personaggi e le loro disavventure sono andati via via scemando.

I personaggi: presenti a metà

Tre dei quattro protagonisti sono introdotti in modo accattivante: Pietro, il protagonista, è un aspirante scrittore disilluso che non trova il suo posto nella vita, Sandro cerca di aiutarlo offrendogli un posto nella criminalità organizzata come sgherro di Mario, Kiki sbarca il lunario disegnando e postando nuda online.

Giada è l’unica eccezione, priva di personalità e costantemente triste o al seguito di qualcuno, non prende alcuna decisione e ne soffre; ma eccetto lei tutti e quattro incarnano con sfaccettature diverse una gioventù meridionale che è rimasta intrappolata in un paese statico e claustrofobico, e non ha idea di come uscirne. La storia d’amore tra Pietro e Kiki che apre il romanzo, ad esempio, è carina, genuina e ben raccontata, senza eccessi di romanticismo e senza mettere in ombra gli altri personaggi.

Purtroppo tutti questi dettagli fantastici vengono persi nella seconda metà e ancora di più verso il finale: i quattro diventano manichini da scaraventare in situazioni disgustose, senza che compiano reali scelte o abbiano particolari emozioni che mi portino a empatizzare con loro, o almeno sperare che ne escano vivi.

Contribuiscono a questa sensazione i dialoghi frammentati e criptici, in cui i personaggi faticano a parlarsi e disorientano il lettore lungo tutta la durata del romanzo. Ve ne lascio un esempio:

“Com’era chi?”
“La morta ammazzata. Ce l’aveva o no il pezzo di legno nella fica?”
“Che cazzo dici…”
“È una domanda semplice.”
Strinse il bracciolo fino a far scricchiolare le nocche. “Te l’ha detto quella puttana. È stata lei, vero? Oppure Pietro. Vi divertite a prendermi per il culo?”
“Veste un volto umano…”
Lui strinse di nuovo gli occhietti. “Di che stai parlando?”
“Lui, il Nemico.”
“Ma che…” Sgranò gli occhi. “Dimmi solo dov’è andata!”
Scosse la testa. “Non ne ho idea.”
“Merda!” S’alzò e si mise al trotto.

Intuisco che l’intenzione sia quella di creare un senso di straniamento e inquietudine, ma in questo modo l’unico effetto è quello di sovraccaricare il lettore di informazioni e distrarlo.

Negli ultimi capitoli, il personaggio di Pietro scompare quasi totalmente e tutto viene raccontato dal punto di vista di Sandro; eccetto l’ultimo capitolo, in cui Pietro è l’unico personaggio rimasto e non viene detto alcunché sugli altri tre. Sono spariti nella desolazione pugliese?

La trama: disconnessa e poco lucida

Purtroppo gli intoppi narrativi di cui sopra mi hanno reso difficile seguire con attenzione gli sviluppi della trama. Se la prima parte consiste in un lento crescendo, in cui la salute della madre di Pietro va man mano degradandosi e i quattro protagonisti iniziano a imbattersi in apparizioni misteriose alle quali non danno peso, la seconda diventa una forsennata investigazione sull’infanzia di Pietro.

Il difetto critico del romanzo è che i personaggi non hanno idea del perché queste apparizioni siano connesse alla sua infanzia; non cercano mai di spiegare le apparizioni e gli eventi paranormali in sé, ma un evento di vent’anni fa col quale solo il lettore può intuire una connessione. Dunque i personaggi si recano in vari luoghi senza particolari motivi, pur sapendo che le apparizioni diventano via via più vivide, disgustose e pericolose. Non hanno nessun motivo personale per tuffarsi in queste disgrazie, né per rimanere ad Alepia nonostante la loro disperazione, eppure lo fanno lo stesso solo per dare occasione di mostrare più splatter.

Non è chiaro inoltre come siano collegate le apparizioni al culto di Santa Feba, né ai riti satanici che vengono talvolta menzionati e talvolta anche replicati dallo stesso Mario.

Conclusione: dov’è l’horror?

La mancanza più grave di Madonna Nera è senza dubbio che, nonostante io mi reputi una persona facilmente impressionabile dagli horror, non ho mai provato né angoscia né inquietudine durante la lettura. La confusione e la frustrazione derivate dal non riuscire a seguire la narrazione hanno messo in ombra ogni altro sentimento. Le ultime pagine del libro, con l’intento di “spiegare” il mistero, hanno invece l’effetto di confermare queste dissonanze.

Spiegazione del mistero (se l'ho capito)
Il nonno, senza che nessuno glielo abbia chiesto per tutta la durata del romanzo, spiega a Pietro che per tradizione sua madre lo stava sacrificando alla Santa Patrona, vent’anni addietro. Così il padre ha interrotto il rituale ed è morto lui stesso, ma poi la madre ha comunque ucciso Pietro che però è risorto al prezzo della vita futura della madre.

Come se non bastasse, l’elemento più dissonante in assoluto è fuori dalla finzione, fuori dalle pagine del romanzo. Le recensioni sui vari siti delle librerie online lo descrivono come un grande horror, scritto con maestria e chiarezza; commenti che, a fronte della difficoltà di comprensione spiegata sopra, mi hanno fatto dubitare per tutta la lettura se stessi davvero leggendo lo stesso libro. La fantomatica Madonna Nera (forse proprio Santa Feba?) non appare mai direttamente, inoltre.

Se l’inizio è stato accattivante e interessante, con uno sguardo a panorami unici e tematiche attuali, Madonna Nera si è completamente perso nel deserto pugliese, soffocato dalle sue stesse esagerazioni. Leggetelo se vi manca la Puglia, ma non se vi manca un buon horror.

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Clockwork

Fisico teorico fallito che prova a scrivere e insegnare. Sinistroverso, controverso e... mi sono perso.

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