La scrittura parte dalle idee, ma come in ogni arte serve anche un metodo. In questa serie di articoli, descriviamo alcuni metodi creativi per affrontare le difficoltà della scrittura.
Negli ultimi anni il dibattito pubblico, anche e soprattutto grazie ai social network, è stato pervaso da considerazioni (positive e negative) sulla diversità, calco del vocabolo statunitese “diversity”. Oltreoceano, com’è consuetudine, la diatriba ha raggiunto il popolo americano primariamente attraverso la produzione cinematografica e la selezione dei cast di attori e attrici; solo in un secondo momento è approdata anche sulle sponde mediterranee. A differenza di quello che potrebbe suggerire, non è semplicemente un sinonimo di “varietà” e le conseguenze di questa sfumatura di significato sono penetrate, ovviamente, anche nella letteratura.
In questo articolo non ci affosseremo nel tentare di spiegare se è meglio avere più o meno diversità; ci concentreremo piuttosto sul come rappresentare i personaggi in modo adeguato, nel caso miriate a un cast variegato. Se non intendete farlo potete saltare questo articolo, ma siamo convinti che alcuni consigli potrebbero esservi utili in ogni caso.
Americanità ed Etichette
Come spesso è capitato in questi ultimi cinquant’anni, ciò che prende piede in Italia è l’eco delle produzioni americane; basti pensare al modello delle sitcom, al genere dei supereroi e alle forme di dibattito online attraverso social network. Insieme a esse arriva, quasi di soppiatto, una forma mentis inevitabilmente legata alla loro storia e alla loro cultura; anzi, multi-cultura, in quanto formata da comunità distinte ognuna con la propria voce. Anche a livello istituzionale è richiesto dichiarare la propria “razza” (whites, neri, ispanici, asiatici, indigeni, etc).
Esistono poi varie altre minoranze, come ad esempio di orientamento e genere sessuale, credi e religioni, autismi e disabilità. Diversity significa, in questo senso, avere personaggi che possano rappresentare il più ampio numero di fruitori possibili.
Questo “pensiero per categorie” è indubbiamente attraente anche per noi italiani (e in generale europei) nonostante la nostra cultura non sia divisa su base etnica; dopotutto gli umani di ogni epoca hanno etichettato e categorizzato ogni cosa con cui avessero a che fare per semplicità linguistica e comunicativa. Il problema subentra quando questa semplificazione linguistica diventa anche semplificazione cognitiva: il nostro pensiero si appiattisce e si ferma alle categorie, cercando di costringere ogni elemento in una di esse.
Questo, come potete intuire, non giova a chi come noi intende raccontare storie. Come anche la divisione stessa in generi letterari (che è ugualmente problematica e tratteremo in un altro articolo), ridursi a questa categorizzazione restringe e superficializza il processo di ideazione dei personaggi, rischiando di limitarlo a una serie di caselle da spuntare come strada facile per dare una personalità e un background.
Questo però non basta a costruire e rappresentare personaggi realistici, e prima di fornirvi esempi positivi dobbiamo discutere della storpiatura per eccellenza: i token characters.
Token Characters
I cosiddetti “personaggi contentino” nascono proprio come interpretazione di massima superficialità del concetto di diversità. In quanto tali, essi appaiono con ruoli di supporto (nei casi migliori) o irrilevanti (nei casi peggiori); in breve, la storia non si concentra mai su di loro e spesso li sacrifica per esigenze narrative. Esempi notevoli sono i vecchi tropi del “magical negro“ e il “bury your gays“, come anche il controverso Arondir nell’ultima serie TV d’ispirazione tolkeniana (torneremo su questo punto più avanti). Fortunatamente, questo fenomeno è assai più comune nei media audiovisivi che in quelli letterari, ma è sempre avere chiare in mente le possibili trappole concettuali in cui si può incorrere.
Il difetto narrativo più pesante, dal punto di vista di ideazione del personaggio, è quando l’intera personalità e caratterizzazione ruota attorno al far parte di una certa minoranza o categoria. Se, ad esempio, nella vostra storia il vostro personaggio gay ha come unico interesse e argomento di conversazione gli altri maschi e come unici ricordi del passato quelli legati alla dichiarazione del proprio orientamento, questo è un sintomo di caratterizzazione superficiale. Dopotutto, nel mondo reale persone di ogni genere, religione ed etnia hanno altri interessi ed esperienze oltre a quelle legate alla propria minoranza.
Certo, non vuole nemmeno dire che suddetto personaggio non possa parlare di argomenti relativi la propria minoranza: prendendo per esempio il già menzionato personaggio gay, sarebbe assurdo non permettergli di contribuire a un discorso sull’omosessualità. Un personaggio può andare fiero della minoranza di cui fa parte, semplicemente non ci si deve ossessionare: dare personalità a un personaggio usando in eccesso un solo tratto è processo tipico della flanderizzazione, tecnica usata in maniera cosciente unicamente per satira.
Non c’è alcun dubbio che, inizialmente, questi personaggi fossero pensati con uno scopo nobile: inserire un tratto del genere e non renderlo centrale, agli albori, significava normalizzare caratteristiche che non lo erano e, quindi aiutare la società ad accettarle: erano quindi piccoli dettagli (in modo da non creare troppo backlash contro la serie) che aiutavano a consolidare una minoranza con un grande esempio memorabile. Purtroppo, col passare del tempo e anche a causa della già menzionata flanderizzazione, il valore della diversità ha sempre più preso il ruolo di, come detto più sopra, “contentino”, rendendo la diversità una gara a chi riesce a includere più minoranze, anche e soprattutto a costo della profondità del personaggio.
Per avere una rappresentazione più profonda e realistica, pensare per categorie e minoranze non è sufficiente; serve avere anche origini e formazione dei personaggi. In poche parole: il background, che d’ora in poi chiamerò “formazione” per semplicità.
Intrecciare Formazione e Personalità
Questo è un consiglio generico, che trascende l’aspetto di rappresentazione delle minoranze e si applica a qualsiasi personaggio intendiate creare.
Continuiamo con l’esempio del vostro ipotetico personaggio gay: indipendentemente dalla componente romantica della vostra storia, provate a rispondere a queste domande.
- Quali sono le sue abilità e conoscenze?
- Quali sono le sue paure e limiti?
- Da quale parte del mondo arriva?
- A cosa tiene più di ogni altra cosa?
- Cos’ha perso o di cosa ha mancanza?
- Qual è il suo obiettivo principale?
Questi sono solo alcuni esempi, ma il nocciolo della questione è assicurarsi che il vostro personaggio, oltre a essere gay, abbia anche una sua profondità. Se non l’avesse, sarebbe equivalente a un cartonato, un fascio di stereotipi inserito nella storia a scopo comico o paternalistico.
Intrecciare Formazione e Ambientazione
Recuperiamo per un istante Arondir, l’elfo nero che ha causato tanti dibattiti online, e cerchiamo di analizzarne l’origine. Il motivo per cui questa scelta è stata accolta con reazioni così dure non è, a parer nostro, perché “gli elfi possono essere solo bianchi” (argomentazione pericolosamente razzista), ma piuttosto perché la connessione con l’ambientazione era debole. Modificando leggermente il canone tolkeniano (come peraltro la serie ha già fatto in varie istanze e talvolta anche in modo poco consono), non sarebbe impossibile immaginare un elfo proveniente da un altro elvenrealm, anziché da quello degli elfi silvani.
A prescindere dalla giustificazione ideale, il potere del fantasy e della fantascienza è che possono inventare motivazioni ed eventi storici che portino a culture e società diverse dalla nostra. Non tutti i mondi devono replicare esattamente la multiculturalità americana. Un esempio positivo sono sempre gli elfi, ma questa volta nel videogioco The Witcher: nel primo titolo, questi hanno tratti somatici distintamente asiatici, eppure non è stato sollevato nessun dibattito riguardo la loro etnia. Sono una razza diversa che proviene da una dimensione diversa; è ovvio che abbiano un aspetto diverso. Le gerudo di Zelda e i Fremen di Dune sono altri esempi notevoli di etnie uniche e perfettamente calate nel contesto narrativo.
In questo senso potete sbizzarrirvi come più vi piace: le fate hanno scambiato due persone e ora si trovano entrambe nel corpo sbagliato; alcuni goblin dalle paludi di mangrovie hanno la pelle bluastra e non sono bene accetti nelle paludi dell’entroterra. In una certa società, una certa professione è vista di cattivo occhio e i suoi praticanti sono pubblicamente disprezzati; in un’altra le persone con un naso troppo corto sono ritenute stupide e pericolose. Ricordatevi sempre che siete voi a creare le società, le culture, le minoranze e i conflitti che portano con sé. Se il vostro mondo è uno specchio esatto degli Stati Uniti, cosa state scrivendo?
Scatenatevi, ma con criterio
Ovviamente non ci sono regole per creare i vostri personaggi, ma esistono parecchi consigli. Oltre a quelli forniti sopra, ne aggiungiamo un altro: scatenatevi, ma con criterio.
Cercare di avere personaggi unici e vari è un’impresa comprensibile, e vi incoraggiamo a pensare a quali minoranze possono avere senso nella vostra ambientazione, ma assicuratevi di mantenere per ogni personaggio almeno una caratteristica che vi è familiare e di cui avete esperienza diretta. Scrivere personaggi con cui non avete assolutamente nulla in comune è una strada in salita. Se volete esplorare le difficoltà che quel personaggio affronta ogni giorno a causa della propria condizione (che voi non avete), assicuratevi di avere qualcuno a cui chiedere. L’internet è grande, e persone di ogni tipo di formazione saranno liete di potervi raccontare quello che vivono affinché voi possiate raccontarlo a terzi.
In alternativa, potete procedere nel senso opposto: avere personaggi che vi somigliano in molti aspetti, eccetto uno, che è inusuale o discriminato nella società che state costruendo. Questo è più difficile: richiede una conoscenza più solida delle particolari difficoltà e una grande capacità di immedesimazione, ma è un ottimo modo per esplorare a fondo le personalità dei vostri personaggi.
Dopotutto, come ormai vi sarete già accorti, ogni autore lascia pezzi di sé in ogni storia.
Ora parola a voi: avete già avuto un personaggio appartenente a qualche minoranza? Se sì, parlatecene nei commenti! Se no, questo articolo vi ha ispirato qualche idea?
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