The Blacktoungue Thief di Christopher Buehlman è un romanzo mediocre, che non consiglierei a nessuno. Questa è la cosa che dovete ricordare, qualora foste troppo di fretta per leggere il resto della recensione. Ma se vi interessa capire perché questo romanzo fantasy non funziona, né riesce nel suo compito di divertire, troverete presto tutte le risposte del caso.
La Trama di The Blacktongue Thief
Nel corso di questo romanzo seguiremo Kinch Na Shannack, per gli amici Kinch, un ladro piuttosto bravo, anche se non eccezionale, che oltre ad avere un assortimento niente male di abilità e minori conoscenze magiche è indebitato fino al collo con la Gilda che generosamente ha pagato per la sua educazione “professionale”. E se Kinch non vuole incorrere in una disdicevole fine, dovrà racimolare una bella somma e dovrà farlo in fretta. Derubare il primo sventurato che passa per i boschi è la soluzione.
Le cose però non vanno come previsto: sulla strada non c’è un qualche mercante o povero malcapitato, bensì Galva – una donna cavaliere veterana delle terribili Guerre Goblin, nonché Ancella della Dea della Morte. Come lo stesso Kinch riconoscerà presto, il suo piano di rapina si trasforma velocemente in una montagna fumante di…
Ma lì dove i compagni di malefatte di Kinch vengono trucidati in malo modo da Galva e una certa creaturina pennuta – un mostruoso corvo da guerra creato con la magia ai tempi delle Guerre Goblin -, il nostro ladro viene risparmiato. Ed è qui che si forma il gruppo che vivrà le avventure a venire.
La vicenda prosegue con Kinch che viene contattato dalla Gilda, la quale gli fa presente del suo debito, di cosa gli accadrà qualora non dovesse pagarlo in tempo… e gli offre una via d’uscita: un singolo, speciale lavoro. Ulteriori informazioni gli verranno fornite in seguito, ma per il momento dovrà limitarsi a seguire passo passo Galva e accettare di avere un paio di occhi nell’ombra che lo terranno sotto stretta sorveglianza…
Lungo la via, vengono reclutati nuovi compagni, tra cui Norrigal, l’apprendista di una potentissima strega, e si scoprono nuove informazioni su questo ricco mondo e su quale sia la missione segreta di Galva. Di pari passo, Kinch si ritroverà a mettere in dubbio il proprio ruolo e il suo coinvolgimento in una trama che sembra molto più grande e pericolosa di lui, anche in virtù dei sentimenti che inizierà a provare per i propri compagni di viaggio.
Tra mostri marini, barbarici goblin, umani non tanto più gentili, assassini magici, maghi e intrighi di varia natura, si arriva alla conclusione del viaggio, al bivio in cui Kinch dovrà decidere a chi dimostrare la propria lealtà e accettarne le conseguenze.
Ma se così presentata la trama sembra intrigante e affascinante – lo ammetto io per primo -, leggere arriva a diventare quasi doloroso, poiché tutto si svolge in un susseguirsi di scene caotiche e scollegate.
La storia si sviluppa in un modo che la rende simile a una campagna di D&D (Dungeons and Dragons, per chi non conoscesse il gioco di ruolo), in cui non c’è un chiaro obiettivo e gli incontri ed eventi imprevisti lungo la via sono al centro dell’attenzione. Potrebbe essere una scelta di stile, ma non funziona poiché la gestione del ritmo è totalmente sballata: si passa dal trascorrere più di un mese di viaggio attraverso vasti territori riassunto in una pagina o due, mentre un singolo viaggio per nave arriva a occupare una sezione di circa 60 pagine. E’ grottesco.
Non porrò mai abbastanza enfasi sul fatto che tutto è o sembra raffazzonato. Incontri ai quali si dedicano uno o più capitoli ma che poi non hanno più rilevanza o quasi per il resto della storia. Tangenti infinite che non conducono da nessuna parte. Approfondimenti che intoppano il ritmo della narrazione senza arricchirla in modo significativo. Tutto ciò senza nemmeno arrivare a considerare le molteplici occorrenze in cui ci sono buchi di trama o convenientissime soluzioni a problemi che piovono dal cielo “per caso”.
Il fallimento più grande di The Blacktongue Thief è proprio questo: essere incapace di presentare bene e linearmente la propria storia.
I Personaggi, da Kinch ai Gatti ciechi
Kinch Na Schannack è protagonista e narratore – attenzione – di questa storia. Ritorneremo a parlarne nella sezione Prosa, ma il fatto che Kinch sia narratore permette la presenza di alcune interessanti trovate, tra le quali figura la buona e vecchia “messa in discussione del narratore”. In definitiva però, Kinch è estremamente simpatico e carismatico, è un vero piacere sentirlo parlare e pensare, “leggere” nella sua mente come vede certe cose. È dunque con gusto che lo seguiamo nelle sue scapestrate avventure e sfortune, vedere come uscirà dall’ennesima situazione spinosa nella quale – verosimilmente – si è infilato. Eccetto per quando smette di essere piacevole. Cosa che accade, almeno parzialmente e nella mia esperienza, verso metà del libro.
Qual è il problema di Kinch? È legato, sfortunatamente, proprio ai suoi stessi pregi: la sua personalità, la sua “presenza su pagina” è fin troppo ingombrante. Se all’inizio questo insieme di spezie e sapori è gustoso e intrigante, dopo un po’ si diviene insensibili o quasi; peggio ancora quando poi se ne rimane stuccati. Kinch è troppo da gestire, con le sue considerazioni eterne sul mondo – occhiolino all’autore, che worldbuilda senza chiedere scusa a nessuno – e il suo costante commentare tutto in modo sagace e acuto.
Ma guai a dire che è tutto da buttare. Kinch è, di suo, un ottimo personaggio. È infame, intelligente e simpatico, ma sotto sotto è anche gentile e altruista – almeno un po’ -, e vediamo con piacere come sviluppa sentimenti per un membro del suo gruppo. Tanto che la sottotrama della storia d’amore che lo riguarda è uno degli elementi più riusciti e coinvolgenti di tutto il romanzo.
I veri problemi emergono ora: il cast di accompagnamento.
Galva, questa “cazzuta” donna d’arme è inizialmente genuinamente interessante. Ha una personalità decisa, è una tosta, indurita dalla guerra e da ciò che ha vissuto, con un legame misterioso e curioso con la Dea della Morte, per la quale sembra avere massimo rispetto e una quasi fanatica devozione. Ma sa anche essere nobile, leale, e simpatica – a modo suo.
Il problema? Beh, è che Galva deve proprio piacervi tanto. Ma tanto davvero, poiché non cambia di una virgola nel corso di tutto il romanzo. Magari può stare bene a certi lettori – non a me di certo – ma la cosa che davvero non funziona non è tanto che non abbia chissà che maturazione o sviluppo incredibili, non c’è la necessità di ribaltare il personaggio, bensì renderla parte integrante della vicenda, darle spessore e un ruolo chiave dato che viene presentata – erroneamente – come coprotagonista. Un’altra cosa che fa mettere le mani nei capelli è il fatto la sua presenza e coinvolgimento nella storia diventano dolorosamente ridotti, tanto che potrebbe sembrare l’ultimo dei personaggi secondari.
Oh, ora che ci siamo sbarazzati di quel piatto senza sale di Galva, parliamo del personaggio migliore del romanzo, o quantomeno il più godibile. Norrigal è adorabile. La sua natura di personaggio secondario la previene da avere troppo tempo dedicato o chissà che incredibili momenti, eppure ogni volta la sua presenza è più che lieta e aggiunge note positive alla lettura. La giovane apprendista strega è decisa e sicura – o almeno finge di esserlo -, è simpatica, intelligente, ma anche occasionalmente impacciata e si fa prendere dal panico. È un mix efficace che nell’insieme crea un cocktail piacevole e non invadente – occhiataccia a Kinch.
Ci sono altri personaggi di cui parlare, ma rivelarne i nomi o i ruoli potrebbe essere considerato uno spoiler quindi mi trattengo. Ciò detto, non è una grande perdita, tanto che i personaggi in questione sono perlopiù banali e senza particolare profondità o introspezione. Sono ciò che sembrano a un primo sguardo. Funzionano, per carità, ma scordiamoci che aggiungano chissà che emozione o intrigo alla vicenda.
Complessivamente, per un romanzo decisamente sorretto dai suoi personaggi piuttosto che dalla banalissima trama, il cast e la sua gestione sono insoddisfacenti. Avere singoli bei personaggi, o una buona idea dietro a essi, non basta. Serve un lavoro d’insieme, un’armonia che qui non c’è quasi mai.
Il Mondo
Finalmente, una cosa della quale posso parlare bene senza remore! – o quasi.
Il mondo nel quale è ambientata la vicenda è vastissimo, ricco di cultura e storia, con una profondità che permette agli appassionati di immergersi a pieno in questo universo fantasy.
C’è politica, “mafia”, magia, il tutto ben legato e interconnesso, creando un arazzo vibrante e che cattura.
La Gilda e il suo funzionamento, dalle Scuole che gestisce, gli Ordini che controlla, la gerarchia su cui si basa, è interessante e davvero ben sviluppata.
I Paesi che visitiamo hanno tutti dettagli curiosi, tra tradizione, storie popolari, religione, cura artistico-architettonica… incluse diverse popolazioni, con rispettivi usi e modi di fare.
La magia è particolarmente intrigante, così misteriosa e magica com’è – sicuramente di prima qualità se si apprezzano i sistemi magici soft, mentre la nemesi di chiunque cerchi regole e chiarezza.
Ma se il mondo presentatoci da Christopher Buehlman è tanto bello e curato, oppositamente sgraziato e inelegante è il modo in cui apprendiamo di esso. Non è sempre il caso, ma spesso si è vittime di violenti lore e info-dump, in cui l’autore ci affoga con una cascata di informazioni, presentate senza particolare grazia. Ma qui non mi dilungo oltre, dato che è il momento di parlare di…
Prosa e Ritmo
Come in ogni altro aspetto analizzato finora, The Blacktongue Thief è vittima di una odiosissima dicotomia. Da un lato, abbiamo un romanzo scritto molto bene, con una voce unica e distinta, nitida e bella – quella di Kinch -, in cui le descrizioni sono ricche ed evocative e l’azione è particolarmente intensa e ben presentata. Dall’altro, abbiamo dal romanzo la forse peggiore gestione del ritmo della storia, oltre al fatto che – come anticipato – i suoi pregi diventino costantemente anche difetti.
Kinch stufa con la sua presenza costantemente invadente, che non lascia al lettore un attimo di tregua; e l’esposizione annichilente di informazioni attraverso muri di testo è abbastanza da far assopire chiunque non sia un assoluto fanatico di worldbuilding. Tante volte durante la lettura mi sono chiesto se Christopher Buehlman non abbia scritto questo romanzo soltanto come scusa per presentarci questo suo mondo che tanto lo entusiasmava. Veramente, ci sono momenti in cui pare di stare consultando un saggio storico o di qualche altro tipo. Non è il contenuto che critico, ma la sua inefficace e dunque fallimentare presentazione.
Il concatenarsi di eventi e di scene, come accennato prima, è un altro problema che peggiora drasticamente l’esperienza di lettura. Si sente troppo la sensazione di “star saltando di palo in frasca”.
In Conclusione, un romanzo che lascia la lingua nera
Tirando le somme, si può dire che The Blacktongue Thief sia un brutto libro poiché non riesce a farsi leggere bene, non per mancanza di virtù.
I personaggi viaggiano dal davvero buono al mediocre, ma la chimica c’è, la vediamo, funziona, solo che non basta; l’autore si scorda i suoi stessi protagonisti per strada, non va in profondità, non costruisce sulle sue solide fondamenta.
Il mondo è bellissimo e ricco, ma tante volte sterile, fine a sé stesso, o presentato in modo quasi accademico.
E la storia, per quanto potenzialmente interessante, è un caos che non ha ritmo e troppe lacune e fragilità.
4,5/10
– Una piccola nota: qua dentro, in questa matassa di problemi, c’è un bel libro che sono certo possa piacere e addirittura diventare il preferito di qualcuno; solo che per me i problemi sovrastano significativamente i pregi. Se siete d’accordo o in disaccordo con me, fatemelo pure sapere con un commento, basta che la discussione rimanga educata e che presenti buone argomentazioni, come piace a noi.
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